sabato 16 marzo 2013

Confessioni Di Un Malandrino

Teasto di ESENIN, musiche BRANDUARDI  ESENIN
Mi piace spettinato camminare 
il capo sulle spalle come un lume 
e mi diverto a rischiarare 
il vostro autunno senza piume. 
Mi piace che mi grandini sul viso 
la fitta sassaiola dell'ingiuria, 
mi agguanto solo per sentirmi vivo 
al guscio della mia capigliatura. 
Ed in mente mi torna quello stagno 
che le canne e il muschio hanno sommerso 
ed i miei che non sanno di avere 
un figlio che compone versi; 
ma mi vogliono bene come ai campi 
alla pelle ed alla pioggia di stagione, 
raro sarà che chi mi offende 
scampi alle punte del forcone. 
Poveri genitori contadini, 
certo siete invecchiati e ancor temete 
il Signore del cielo e gli acquitrini, 
genitori che mai non capirete 
che oggi il vostro figliolo è diventato 
il primo tra i poeti del Paese 
e ora in scarpe verniciate 
e col cilindro in testa egli cammina. 
Ma sopravvive in lui la frenesia 
di un vecchio mariuolo di campagna 
e ad ogni insegna di macelleria 
la vacca si inchina sua compagna. 
E quando incontra un vetturino 
gli torna in mente il suo concio natale 
e vorrebbe la coda del ronzino 
regger come strascico nuziale. 
Voglio bene alla patria 
benchè afflitta di tronchi rugginosi 
m'è caro il grugno sporco dei suini 
e i rospi all'ombra sospirosi. 
Son malato di infanzia e di ricordi 
e di freschi crepuscoli d'Aprile, 
sembra quasi che l'acero si curvi 
per riscaldarsi e poi dormire. 
Dal nido di quell'albero, le uova 
per rubare, salivo fino in cima 
ma sarà la sua chioma sempre nuova 
e dura la sua scorza come prima; 
e tu mio caro amico vecchio cane, 
fioco e cieco ti ha reso la vecchiaia 
e giri a coda bassa nel cortile 
ignaro delle porte dei granai. 
Mi sono cari i miei furti di monello 
quando rubavo in casa un po' di pane 
e si mangiava come due fratelli 
una briciola l'uomo ed una il cane. 
Io non sono cambiato, 
il cuore ed i pensieri son gli stessi, 
sul tappeto magnifico dei versi 
voglio dirvi qualcosa chge vi tocchi. 
Buona notte alla falce della luna 
sì cheta mentre l'aria si fa bruna, 
dalla finestra mia voglio gridare 
contro il disco della luna. 
La notte e` così tersa, 
qui forse anche morire non fa male, 
che importa se il mio spirito è perverso 
e dal mio dorso penzola un fanale. 
O Pegaso decrepito e bonario, 
il tuo galoppo è ora senza scopo, 
giunsi come un maestro solitario 
e non canto e celebro che i topi. 
Dalla mia testa come uva matura 
gocciola il folle vino delle chiome, 
voglio essere una gialla velatura 
gonfia verso un paese senza nome. 

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